Questa è l'ultima parte del nostro breve resoconto del viaggio in Polonia e abbiamo deciso di pubblicarla oggi, per rendere nel nostro piccolo omaggio alla giornata della Memoria.
Sabato 4 gennaio partiamo di buon mattino per quel che sappiamo sarà il momento più intenso di questo viaggio: la visita ai campi di concentramento situati a Oświęcim, i famigerati campi di Auschwitz e Birkenau.
Il clima è dalla nostra parte: le temperature polari promesse prima della partenza (e normali, teoricamente, in questo periodo) hanno straordinariamente lasciato il posto a giornate quasi tiepide, per queste latitudini.
Il primo contatto con Auschwitz è quasi soft, all'entrata del campo "1", con la famosa scritta "Arbeit macht frei" e i capannoni tutti puliti e ordinati. Entrando nei primi edifici e iniziando il percorso del museo, entriamo gradualmente in contatto con la realtà della vita nei campi di concentramento e cerchiamo di capire, per quel che è possibile, il folle, mostruoso, perfetto meccanismo dello sterminio.
Quando mettiamo piede a Birkenau, l'atmosfera sembra voler contribuire all'immedesimazione e ormai procediamo quasi in silenzio. Davanti a noi un'immensa distesa, ormai deserta. Le baracche, i forni crematori, quasi tutto distrutto e spazzato via dalla guerra. Nonostante ciò, l'orrore è ben presente. Forse questi spazi immensi riescono a far capire ancora meglio cosa potesse essere un posto concepito per essere una macchina di morte, capace di ospitare quasi centomila persone.
Esprimere cosa voglia dire calpestare quella terra, respirare quell'aria, essere immersi in quella nebbia, è praticamente impossibile.
Per questo chiudiamo il nostro breve diario lasciando parlare le immagini, consapevoli che la giornata della Memoria non debba voler dire semplicemente ricordare, ma soprattutto essere testimoni consapevoli e farci carico della responsabilità, nel nostro piccolo, di aggiungere sempre una piccola, flebile speranza che tutto ciò non possa e non debba mai più accadere.
Il primo contatto con Auschwitz è quasi soft, all'entrata del campo "1", con la famosa scritta "Arbeit macht frei" e i capannoni tutti puliti e ordinati. Entrando nei primi edifici e iniziando il percorso del museo, entriamo gradualmente in contatto con la realtà della vita nei campi di concentramento e cerchiamo di capire, per quel che è possibile, il folle, mostruoso, perfetto meccanismo dello sterminio.
Quando mettiamo piede a Birkenau, l'atmosfera sembra voler contribuire all'immedesimazione e ormai procediamo quasi in silenzio. Davanti a noi un'immensa distesa, ormai deserta. Le baracche, i forni crematori, quasi tutto distrutto e spazzato via dalla guerra. Nonostante ciò, l'orrore è ben presente. Forse questi spazi immensi riescono a far capire ancora meglio cosa potesse essere un posto concepito per essere una macchina di morte, capace di ospitare quasi centomila persone.
Esprimere cosa voglia dire calpestare quella terra, respirare quell'aria, essere immersi in quella nebbia, è praticamente impossibile.
Per questo chiudiamo il nostro breve diario lasciando parlare le immagini, consapevoli che la giornata della Memoria non debba voler dire semplicemente ricordare, ma soprattutto essere testimoni consapevoli e farci carico della responsabilità, nel nostro piccolo, di aggiungere sempre una piccola, flebile speranza che tutto ciò non possa e non debba mai più accadere.